SCENOGRAFIE

 Jazzitalia di Alceste Ayroldi

Mai come questa volta le note di copertina sono il perfetto libretto per questa opera; non perché – o solo perché – le ha scritte chi di jazz ne capisce: Enrico Rava, ma perché sono l'assoluta verità. Il basso di Jesper Bodilsen è differente: canta e lo fa bene. Scuola danese, cioè quel Nord Europa odi et amo dei jazzofili e jazzisti. Orecchio teso, assoluto e pronto al dialogo quello di Bodilsen, che tradisce nei titoli, e non solo, il suo amore per l'Italia e mischia le carte, mercé l'attenta produzione esecutiva di Monica Momy Manetti, tra Italia, Svezia e la sua Danimarca, coinvolgendo alcune tra le migliori menti jazzistiche in linea con i suoi principi musicali. Si badi bene: non un dream team tanto per gradire e vendere qualche copia in più (con la carestia del momento è quasi impossibile), ma una creazione di sinergie, anzi un sincretismo che oggi è merce rara.
Tutti amici, ben inteso. Bodilsen aveva già collaborato, separatamente, con i suoi attuali sodali, sembrano solo fare eccezione Paolo Russo e Joe Barbieri.

Il contrabbassista danese ci regala due atti e due cd di un'eleganza impareggiabile. Bodilsen ama l'Italia, e si ascolta chiaramente già da "Longing", delicata e serena, ricca di armonizzazioni che esaltano la melodia principale perfettamente sorretta dalle corde di Wakenius e disegnata dalla splendida sonorità del leader, contrappuntata da Asplund. L'ingresso a pieno titolo di Russo, virtuoso al punto giusto, in "No Road For Readers", dà vigore al tema costruito da Bodilsen in combine con Peter Asplund, che sceglie meticolosamente le note e controlla l'energia messa in gioco modellando gli accordi. Cambio di scena nel blues d'atmosfera filmica architettato in "Please Walk Me Back", con Wakenius in prima fila nel dispensare il suo legato vellutato. "Another Heart" è dannatamente vintage, quel color seppia che fa scuotere leggermente la testa e chiudere gli occhi: Nico Gori volteggia caldo e swingante sull'incalzare di Stefano Bollani e l'incessante Bodilsen, fino a lasciare la scena proprio al pianista, che alza la voce rilasciando clusters e un assolo che acquista un suono sinfonico e bollente. Tributo a Chico Buarque de Hollanda con "Retrato em branco e preto", dove il contrabbassista ne canta tutto il sapore sudamericano, senza imitare nessuno e tenendo il Brasile a giusta distanza, lasciandone il ricordo nelle sapienti mani di Ulf Wakenius.
Due episodi, uno per atto, e due cammei di Joe Barbieri, dal canto narrativo, riconoscibile a primo orecchio: "Regni e corone" e "Normalmente".
Il secondo atto si apre con un classico di Joan Manuel Serrat, "La tieta" alias la zietta. Il cantautore spagnolo, che in Italia si è meritato la celebrità grazie a Mina, qui vive una nuova dimensione, nel pieno rispetto del vibrante lirismo, e la sua voce è affidata alla tromba di Asplund prima e alle pastose corde di Bodilsen, poi: la tradizione spagnola di Serrat è sparigliata nelle sonorità nordiche più ampie e corroborata dal tappeto sonoro costruito da Russo, che spinge l'acceleratore in "Napoli", fresca e briosa: la tromba frusciante di Asplund si immerge nel Mediterraneo profumato di Sudamerica. Un'antinomia, solo apparente, perché il differente mood si mescola alla perfezione.
"Living" riprende quella traccia cinematografica solcata in "Please walk Me Back" e Bodilsen mette sul piatto un walking poderoso e convincente. Torna il clarinetto di Nico Gori in "Waiting", puntuale e iridescente marchia a fuoco un mainstream da manuale. "Min sommerfugl" chiude l'opera, con Wakenius che evoca lontanamente il Brasile con pattern soffusi, senza vibrato, lasciando a Bodilsen e Asplund la voce nordica. 

Una menzione merita la batteria, che con la sua assenza ha dato un valore aggiunto all'intero album.
E' raro ascoltare un disco dove le carte musicali sono mescolate così: perfettamente.